testo critico di Gianrocco Guerriero
Sono essenzialmente tre, i filoni in cui si immerge la ricerca artistica di Bernardo Bruno, classe 1964, architetto residente a Palazzo San Gervasio. E tutt’e tre convergono in un “punto”, come conviene ai percorsi esplorativi che nascono sotto l’egida della vera arte. Dunque, c’è quello dei “Bernynavigator”, firmati “B.N.” in cui l’autore ritrae un “sé stesso” immaginifico avvalendosi di linee ovali essenziali, monocromatismi forti, pennellate che paiono colare sulla tela come lacrime. C’è molta ironia, in questi “autoritratti” ispirati dal laboratorio sperimentale di un fumettista nipponico, Takaschi Murakamy, ma anche tanta forza espressiva che riesce a catturare lo sguardo dell’osservatore facendolo indugiare, in cerca di un significato.Poi c’è il filone dedicato all’ “Urbanistika”, ove l’utilizzo dei colori acrilici su cartone telato ben si sposa con la visione dinamica e, per così dire, “vitalistica” degli agglomerati urbani che è propria dell’artista. Si tratta di mappe bidimensionali di rioni e di città che, lungi dal rivelarsi asettiche carte topografiche, lasciano magicamente trasparire la “personalità” del centro urbano di volta in volta immaginato: gioie, sofferenze, delizie, incubi: il flusso delle automobili è una linfa di luce che porta ovunque il “nutrimento” dell’informazione, i rioni sono organi, le case tessuti. La città, in breve è un organismo. E Bernardo Bruno è il medico che la visita, ne ricava radiografie e diagnosi; e finanche esami autoptici, quando necessario. In tale prospettiva, merita una menzione particolare l’opera intitolata “Spazio urbano fecondato”: in essa, una “zona verde” dall’evidente forma fallica, è fagocitata da una fitta regione urbana in cui alcuni degli isolati assomigliano a neuroni con tanto di sinapsi, mentre altri a spermatozoi che scuotono un lungo flagello: si tratta, appunto, della “vita” che Bruno intende iniettare in quelle geometrie di cemento ferro ed asfalto che tanto sconcertano la sua sensibilitàInfine, c’è la sezione dei “Bernynavigator Voyage”, che ha origine da una esperienza londinese dell’artista, a tal punto impressasi nella sua coscienza (e, forse, soprattutto nel sub-conscio) da essere stata elaborata e reinterpretata nel corso del tempo fino a riuscire a restituire l’essenza più profonda di quei luoghi, di quel “modus vivendi” e di quella cultura. Il flusso vitale delle linee metropolitane, è in particolare al centro dell’attenzione del pittore, il quale è affascinato dai nodi e dalle maglie di quel groviglio di binari che, dietro un apparente caos, cela una logica che si può cogliere solo con strumenti sottili.E così arriviamo anche al dunque; ovvero al fulcro attorno a cui, quantomeno a giudizio di chi scrive, gravita tutta l’opera di Bernardo Bruno: ovvero, la riduzione della rigidità della geometria metrica nella plasticità propria della topologia. Ecco, allora, come i mille ghirigori delle linee ferroviarie sotterranee trovano la loro linearità; e come gli spazi urbani riescono a trascendere la mera materialità dotandosi di un’ “anima”; ed infine come gli stessi tratti di un volto, del proprio volto, possono riemergere dopo aver attraversato un filtro che annulla proporzioni e forme e conduce agli archetipi stessi della rappresentazione figurativa.Ma, tutto questo, Bernardo lo fa inconsapevolmente. Ed è giusto che sia così. Poiché, l’altra via cui accennavo, grazie alla quale è possibile estrarre un significato dal caotico fluire delle cose nello spazio e nel tempo, è proprio quella dell’arte. E solo chi riesce a percorrerla senza cedimenti, può essere considerato un vero artista.Bernardo Bruno, di riconoscimenti, finora, ne ha avuti tanti. La sua continua ricerca, che si inoltra nei territori più innovativi del settore, dalla grafica all’utilizzo della multimedialità, non potrà che procurargliene di sempre più gratificanti.

Commenti

Post più popolari